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Giganti dai piedi d’argilla: Cina e India tra ambizioni e fragilità

 
Giganti dai piedi d’argilla: Cina e India tra ambizioni e fragilità
Luca Lippi

Il recente vertice tra Modi e Xi ha prodotto risultati concreti? Immaginare che una disputa territoriale ultradecennale possa sciogliersi come neve al sole, scavalcando le più elementari regole diplomatiche, è un'ipotesi a dir poco ardita. Se è vero che quella parte del mondo necessita di un'accelerazione nel riassetto degli equilibri geopolitici, è altrettanto vero che definire "raggiunto" un accordo di de-escalation tra Cina e India o l'avvio di una seria riflessione sull'abbandono del dollaro – come ipotizzato lo scorso anno – o solo contrastare con efficacia i ritmi produttivi e tecnologici dell’Occidente cui basta solo sollevarsi dal torpore  pigro degli ultimi decenni e infilare nuovamente le scarpe per correre, appare quasi ridicolo.

Un partenariato strategico fragile

 L'idea di gestire un’espansione attraverso la formula del "partenariato strategico", creando di fatto una seconda sfera di influenza – aggregando l’adesione di una trentina di Paesi e con l'occhio benevolo di Putin – amplierebbe, solo sulla carta il peso specifico di questo nuovo blocco sulla scena mondiale. Tuttavia, il percorso è irto di ostacoli: l’India ha un’economia in gran parte autoreferenziale e la Cina, come vedremo, è una locomotiva dall’aspetto imponente ma con un motore insufficiente e costruita con materiali scadenti.

Questi consessi, al contrario di quanto vorrebbero far credere media spesso ideologizzati e poco attenti alla loro missione istituzionale, esprimono poco più che "intenzioni". Il loro obiettivo principale, al netto del contrasto alle politiche protezionistiche occidentali, è esplorare alternative all'egemonia del dollaro statunitense. Sebbene un processo di de-dollarizzazione completa richieda decenni e il suo successo non sia affatto garantito, la semplice volontà di concepire un sistema monetario multipolare rappresenta una notizia geopolitica dirompente, ma di difficilissima, se non impossibile, realizzazione.

La sfida al dollaro e la de-dollarizzazione incompiuta

La storia offre un severo monito: ogni transizione da una valuta dominante a un'altra – dalla peseta spagnola tra il XVI e il XVIII secolo, alla sterlina britannica fino all'inizio del '900, e infine al dollaro – si è consolidata solo in seguito a un conflitto su vasta scala. La logica suggerisce che sfidare l'ordine monetario esistente richieda la preparazione a un confronto, anche militare.

In questo scenario carico di tensioni, già lo scorso anno la Cina ha avanzato una proposta per gestire l'ascesa delle economie emergenti e il progressivo declino delle potenze occidentali. Pechino ha suggerito di elaborare un nuovo sistema per "competere senza combattere", cercando di disinnescare la spirale di rivalità che ha caratterizzato le transizioni di potere del passato. Ma chi legge queste notizie conosce la vera situazione economica e sociale della Cina?

Le titaniche fragilità della Cina: oltre la narrazione del successo

La narrazione della Cina come potenza inarrestabile, guidata da un leader come Xi Jinping che "vince senza fare nulla", si scontra con una realtà interna complessa e vulnerabile. Sebbene la sua ascesa economica, tecnologica e militare sia innegabile, un'analisi critica rivela profonde contraddizioni che ne mettono in discussione la stabilità a lungo termine.

Sulla carta, i successi cinesi sono evidenti. L'economia nazionale compete per il primato globale, mentre il settore tecnologico ha superato da tempo la fase di produzione a basso costo per diventare leader in ambiti strategici come i veicoli elettrici e la robotica, sfidando la supremazia industriale occidentale. Anche sul fronte militare, la modernizzazione delle forze armate procede a ritmo serrato, con l'obiettivo esplicito di colmare il divario con gli Stati Uniti. Tuttavia, la validità dei dati statistici trova un limite nella prova dei fatti. Il caso della Russia offre un monito significativo: considerata la seconda potenza militare al mondo prima del 2022, ha mostrato gravi carenze strutturali, logistiche e di governance una volta impegnata in un conflitto reale. La Cina, che non affronta una minaccia esistenziale dalla metà del XX secolo, non ha ancora dovuto testare la reale efficienza del suo apparato in uno scenario di crisi prolungata.

Le Debolezze Sistemiche

La principale fragilità della Cina risiede nella natura autocratica del suo sistema politico. La dittatura del Partito Comunista garantisce un controllo ferreo sulla società, ma al costo di sopprimere il dibattito, la critica e lo scambio di idee, elementi fondamentali per l'innovazione e la correzione degli errori strategici. La repressione del dissenso e la censura indeboliscono la capacità del sistema di autovalutarsi, rischiando di perpetuare politiche inefficaci, come dimostrato dai fallimenti iniziali nei progetti di riforestazione, causati da decisioni imposte dall'alto e non sindacabili.

Strettamente legata al sistema autocratico, la corruzione si manifesta come un problema endemico. In assenza di istituzioni indipendenti e di un reale meccanismo di controllo reciproco tra i poteri, la gestione delle risorse è soggetta all'arbitrio di funzionari e amministratori locali. Nonostante le campagne anti-corruzione promosse dal Partito – spesso utilizzate anche come strumento di epurazione politica – il problema rimane strutturale e mina l'efficienza dello Stato e la fiducia dei cittadini.

Sul fronte economico, il gigante cinese poggia su fondamenta precarie. Il Paese è gravato da un debito colossale, stimato in quasi tre volte il suo PIL, concentrato soprattutto a livello di amministrazioni locali e aziende. Questo modello di sviluppo, spinto da obiettivi di crescita imposti centralmente e alimentato da investimenti massicci in infrastrutture e da una bolla immobiliare, si rivela sempre più insostenibile. L'enorme indebitamento riduce le risorse per investimenti produttivi, aumenta il rischio di insolvenza e grava sulla stabilità finanziaria globale.

La Crisi Demografica e la Strategia Geopolitica

A queste vulnerabilità si aggiunge una crisi demografica di portata storica. Con un tasso di fertilità tra i più bassi al mondo, la Cina sta invecchiando rapidamente. La contrazione della forza lavoro e l'aumento della popolazione anziana mettono a dura prova un sistema di welfare ancora carente, scaricando un onere insostenibile sulle nuove generazioni. Questa "bomba a orologeria" demografica minaccia di frenare la crescita economica e di destabilizzare il tessuto sociale. In questo contesto, la postura geopolitica cinese appare più cauta di quella occidentale. Ancorata a un principio strategico di "armonia" e di influenza regionale, Pechino evita interventi diretti in conflitti lontani, preferendo consolidare il proprio controllo sulle aree di prossimità e utilizzare la leva economica come principale strumento di potere.

Le sfide al welfare e al tessuto sociale

In conclusione, l'immagine della Cina come oasi di stabilità in un mondo caotico è un'analisi superficiale. Dietro la facciata di una potenza disciplinata e in crescita si celano profonde crepe: un sistema politico rigido che ostacola il progresso, una corruzione sistemica, un'economia costruita sul debito e una crisi demografica senza precedenti. La vera partita per il futuro della Cina non si giocherà tanto contro i suoi rivali esterni, quanto al suo interno, contro le sue stesse, titaniche contraddizioni.

In questo quadro, la domanda su chi, tra India e Cina, possa realmente guidare questo blocco rimane senza risposta. Per attori pragmatici come Putin, forse, questi non sono altro che mercati da sfruttare: un'alleanza di facciata, priva della coesione necessaria per riscrivere davvero le regole del gioco globale. Senza considerare che nel frattempo gli USA non staranno certo a guardare e in attesa che l’Europa decida, se rimettere le scarpe per ricominciare a correre oppure consolidare la sua natura di area geografica più bellicosa da sempre, altro che “unione”.