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Trump e l’economia USA: tra trionfi e rischi globali

 
Trump e l’economia USA: tra trionfi e rischi globali

L’economia americana vola sotto Trump, ma tra debito record, inflazione e tensioni globali si aprono nuove incognite. Cosa devono fare gli investitori?

di Luca Lippi

Settimana interessante quella che sta cominciando, con importanti novità a breve. In ogni caso, il mercato ha parlato, regalandoci uno scenario denso di segnali contrastanti. Ora bisogna interpretarli. Nell’America di Trump emerge il ritratto di un'amministrazione a due volti: da un lato, un successo apparentemente totale sul fronte interno; dall'altro, un'agenda internazionale che resta un campo minato, pieno di incognite e rischi imminenti.

Un trionfo a metà: mercati al massimo, ma i rischi crescono

Il 4 luglio, Giorno dell'Indipendenza, ha offerto il palcoscenico perfetto per l'apoteosi della presidenza Trump, grazie a una rara e potente concomitanza di successi politici, giudiziari ed economici. Al centro della scena, la firma della legge di bilancio, un provvedimento bandiera che traduce in realtà le principali promesse elettorali: significativi tagli fiscali, lo smantellamento di parti della riforma sanitaria "Obamacare",
la sospensione degli incentivi alle energie rinnovabili e un cospicuo aumento dei fondi per la sicurezza delle frontiere. Al netto delle critiche che possono seguire – e sono già seguite – da parte di analisti che nella sostanza – fino ad ora – non ne hanno “azzeccata” una (colpa anche del Tycoon che tra l’ilare e il faceto non aiuta) il fronte interno è tutt’altro che a rischio. A rafforzare il quadro, si sono aggiunte una recente sentenza favorevole della Corte Suprema sui decreti presidenziali e un importante successo diplomatico come lo stop alle ostilità tra Israele e Iran. A coronare il tutto, i mercati azionari di Wall Street hanno raggiunto nuovi massimi storici, offrendo al mondo l'immagine di una presidenza al suo apogeo, nel giorno più simbolico per la nazione.

In questo clima di consolidamento del potere, si ridefiniscono anche gli equilibri con altre figure chiave. Jerome Powell, il potente governatore della Federal Reserve, sottoposto a continue pressioni per un taglio dei tassi di interesse, vede la sua posizione apparire sempre più fragile. Persino un "battitore libero" come Elon Musk, sempre più critico verso l'amministrazione, viene neutralizzato a livello mediatico: le sue proteste vengono liquidate come una reazione alla perdita degli incentivi federali per le auto elettriche, culminando nel suggerimento dello stesso Trump di "tornare in Sudafrica".

I segnali d’allarme sotto la superficie

A sigillare questa apparente vittoria totale giunge un innalzamento stratosferico del tetto del debito: 5.000 miliardi di dollari. Una cifra che fa tremare i polsi e che, non a caso, ha prodotto un'immediata reazione sui mercati obbligazionari. I rendimenti dei titoli di Stato sono subito saliti, un segnale tecnico che, in parole semplici, significa che per gli Stati Uniti diventa più costoso indebitarsi e che gli investitori chiedono un compenso maggiore per prestare denaro a un Paese sempre più indebitato. È qui che, sotto la superficie del successo, emergono le prime crepe. L'amministrazione si prepara a inviare nuove notifiche formali ai Paesi che non hanno ancora trovato un accordo sui dazi. La UE avrebbe già fatto intendere di scendere a miti compromessi e quindi, chi scrive, un vero e proprio rischio di nuove turbolenze che hanno scosso i mercati solo pochi mesi fa non c’è. Sul fronte interno, inoltre, la Federal Reserve, forte di un mercato del lavoro ancora eccezionalmente robusto, non sembra disposta a cedere sull'inflazione, resistendo alle richieste di allentamento monetario. Infine, nonostante gli sforzi, una pace globale stabile resta un obiettivo lontano.

Strategie per investitori: seguire o difendersi?

Di fronte a questo scenario, la domanda che tutti si pongono è semplice: può durare? Con l'avvio della nuova stagione delle trimestrali, in cui le aziende comunicano i loro profitti, quali elementi potrebbero ancora giustificare un'ulteriore crescita dell'indice S&P 500? Molti analisti iniziano a parlare di un divorzio tra l'euforia della Borsa e la realtà dei fondamentali economici. Sebbene sia prematuro ipotizzare crolli, auspicare un ritorno a valutazioni più ragionevoli sembra sensato. Non bisogna trascurare, però, che le aziende più grandi quotate al S&P 500 incassano all’estero, e col dollaro debole, mantenendo lo stesso fatturato, alla fine gli utili rappresentati a “biglietti verdi” aumenta sensibilmente. In un simile contesto, la strategia operativa più indicata appare duplice: da un lato, assecondare un trend di mercato che, per ora, resta positivo; dall'altro, mantenere un elevato livello di prudenza. Adottare una postura di "difesa preventiva" appare oggi particolarmente opportuno: non agire d'impulso, ma essere pronti a intervenire qualora le condizioni lo richiedessero.

Tale approccio è doppiamente giustificato per gli investitori europei, la cui situazione è più complessa. I listini del Vecchio Continente mostrano una fase di stagnazione e, a causa della dinamica del cambio euro- dollaro, i guadagni realizzati a Wall Street sono stati in gran parte erosi. I profitti in dollari, infatti, una volta riconvertiti in euro, si assottigliano o addirittura si annullano se la moneta unica si rafforza. Questa combinazione di fattori rende il contesto operativo più difficile e richiede la massima attenzione. Si rafforza, di conseguenza, la tendenza a privilegiare strategie di breve respiro, come l'operatività intraday, in attesa che si delinei un trend di mercato più chiaro e sostenibile. Le incognite sul tavolo sono troppe per pensare che la strada possa continuare a essere in discesa, senza scossoni.