Trump aveva promesso accordi commerciali con 200 Paesi. Al momento ne ha chiusi solo tre. L’UE resta il nodo più difficile da sciogliere
di Diego Minuti
Le dichiarazioni, dai toni trionfalistici, con le quali aveva annunciato che stava per perfezionare accordi commerciali con 200 Paesi oggi cozzano con una realtà evidente: Donald Trump ha ancora molto da fare per onorare l'agenda che, a suo dire, avrebbe dato il via ad una nuova ''età dell'oro'' per gli Stati Uniti. Finalmente padroni del loro presente e del loro futuro economico. Quelle dichiarazioni, fatte dopo i primi 100 giorni della sua (seconda) Amministrazione, alla fine di aprile, avevano sorpreso perché per gli analisti il perfezionamento dei tanto decantati accordi commerciali era lontano dall'essere a portata di mano, per come Trump diceva di essere sicuro. Oggi l'aridità dei numeri lo smentisce, riferendo che dei 200 favoleggiati accordi, Trump ne ha incassati solo tre. Appena tre, la miseria di tre, sebbene con Paesi dall'interscambio rilevante, ma una goccia nel mare del commercio globale: Cina, Regno Unito e Vietnam. E con Pechino non è che tutto sia chiaro, tra ''stop and go'' abbastanza sorprendenti per il loro andamento e con un clima che è certo meno idilliaco di quello che la torrenziale narrazione trumpiana cerca di accreditare.
La scadenza del 9 luglio e lo slittamento al 1° agosto
Ieri, 9 luglio, era il termine che Trump si era dato (o, per meglio dire, annunciato) come scadenza per tutti i Paesi per raggiungere un accordo o affrontare dazi "reciproci" più elevati. Ma il tempo intercorso dal "Giorno della Liberazione" fino ieri non è stato sufficiente a riempire di contenuti reali gli annunci, con i negoziati che sono ancora in alto mare, in un rimpallo di minacce e accuse.
L'evidenza della difficoltà a chiudere gli accordi ha imposto a ''the Donald'' un cambio di strategia, così che nelle ultime settimane la sua retorica pubblica si è spostata verso l'annuncio di lettere che avrebbero imposto tariffe doganali più elevate ai partner commerciali americani, ottenendo, a suo dire, di fatto risultati concreti mentre i colloqui proseguono. Quindi poco oggi, ma pure sempre qualcosa, in attesa di accordi che possano dargli un qualche risultato da potere enfatizzare a favore di telecamere, che è poi quello che ama fare sopra ogni cosa. Per questo, pur di avvicinarsi al traguardo, ha fatto una piccola inversione di percorso, spostando la scadenza al primo agosto per dare ai Paesi che ritiene vicini a un accordo un po' più di tempo per i colloqui.
La nuova strategia: dazi più alti in assenza di intese
E' chiaro che, almeno in questa fase, ogni mossa di Trump sembra avere come destinataria l'Unione europea, con cui i rapporti restano difficili. Ma che potrebbero avere una evoluzione positiva a breve se le parti troveranno un punto di equilibrio rispetto alle rispettive posizioni. Magari con qualche rinuncia da potere spacciare quasi come una vittoria.
Il punto di caduta delle trattative in corso dovrebbe essere quota 10% per le tariffe, magari come base per affinare, nel tempo, un quadro che sia molto vicino ad essere definitivo. Una cosa che, vista la volubilità di Trump, non si dovrebbe mai dare per scontata. Il peso della trattativa, per la parte americana, ricade sulla spalle del segretario al Tesoro, Scott Bessent, che sembra avere capito che la mediazione è quasi alla fine, predicando comunque prudenza per trovare un accordo, sapendo che trattare l'Ue non è cosa affatto facile o scontata.
Comunque, l'aria che si respira è di totale ottimismo, ma, conoscendo Trump, è meglio aspettare che tutte le caselle vadano al loro posto, soprattutto per decisione condivisa. Anche perché sembra ieri quando il presidente americano usava parole durissime nei confronti dell'Europa comunitaria, accusandola di ogni nefandezza nei confronti degli Stati Uniti e trattandola come una congrega di grassatori dell'innocente economia a stelle e strisce. Sembra ieri che Trump agitava, nei confronti delle importazioni dell'Ue, lo spettro di dazi al 50%, davanti alla quale l'Unione europea, deludendo le speranza della Casa Bianca, ha risposto a muso duro, in uno scontro tra highlander.
Accordo USA-UE: il nodo delle tariffe su acciaio e auto
Restano comunque nodi difficili da sciogliere, perché di alcuni punti Trump sembra avere fatto una questione personale, come i dazi sulle auto e sull'acciaio, che ricadono in una partita molto più ampia, che il presidente gioca non solo con l'Europa. Nel caso peggiore, cioè se un accordo tra Usa e Ue non fosse raggiunto, Bruxelles farebbe scattare contromisure mirate, che costerebbero miliardi di dollari alle esportazioni statunitensi verso l'Unione. Tali misure di ritorsione avrebbero dovuto entrare in vigore il 14 luglio. Non è ancora chiaro se l'UE rinvierà tale data per compensare la proroga da parte di Trump della scadenza per i dazi "reciproci" al 1° agosto.
"Se non si raggiungerà un accordo entro la scadenza stabilita, l'UE è pronta ad attivare contromisure mirate e proporzionate a difesa dei suoi legittimi interessi", ha ricordato ieri al Parlamento europeo Marie Bjerre, ministro danese per gli Affari europei, sottolineando che la pazienza dell'Unione ha dei limiti.