Approvato il Regolamento di esecuzione 2025/1197: stop alle offerte nei bandi pubblici Ue sopra i 5 milioni da operatori cinesi. Obiettivo: equità negli appalti, sostegno alla manifattura europea e nuova leva contro la concorrenza sleale
Un segnale forte, chiaro e strategico: l’Unione europea ha deciso di bloccare l’accesso degli operatori economici e dei dispositivi medici originari della Repubblica Popolare Cinese alle gare pubbliche europee nel settore sanitario, introducendo un regolamento vincolante e senza precedenti. Il Regolamento di esecuzione (UE) 2025/1197, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 20 giugno 2025, entra in vigore con l’obiettivo di tutelare il mercato interno europeo da pratiche discriminatorie e distorsive della concorrenza attuate da Pechino.
La misura arriva al termine di un’indagine durata oltre un anno, in cui la Commissione ha documentato una sistematica esclusione delle imprese europee dal mercato cinese degli appalti pubblici per dispositivi medici. Secondo l’analisi, l’87% delle gare in Cina vieta esplicitamente o implicitamente l’acquisto di prodotti importati, favorendo in modo strutturale il “Made in China”, anche attraverso obblighi di trasferimento tecnologico e procedure discriminatorie.
Per la prima volta, la risposta dell’UE è altrettanto decisa: le aziende cinesi non potranno più partecipare agli appalti europei per dispositivi medici di valore superiore a 5 milioni di euro, una soglia che copre circa il 59% del valore totale del mercato degli appalti UE in questo comparto. Il provvedimento si applica a tutte le amministrazioni aggiudicatrici dell’Unione e riguarda oltre 130 categorie CPV (vocabolario comune per gli appalti pubblici).
Una leva per riequilibrare la concorrenza
L’obiettivo della Commissione è duplice: costringere la Cina ad aprire i suoi mercati pubblici e riequilibrare le regole del gioco. La mossa assume particolare rilevanza alla luce della forte dipendenza dell’Unione dalle importazioni cinesi, che nel 2023 hanno raggiunto i 6,2 miliardi di euro, ma anche della forte competitività dei produttori europei, che esportano nel mondo dispositivi medici per oltre 69 miliardi di euro e rappresentano 700.000 posti di lavoro, il 90% dei quali in PMI.
La misura IPI (International Procurement Instrument), in forma di esclusione diretta dalle gare, è stata ritenuta la più efficace per contrastare la distorsione cinese, soprattutto nel contesto degli appalti “basati sul volume” che, in Cina, obbligano i fornitori a presentare offerte economicamente insostenibili. Secondo la Commissione, la distorsione è tale da rendere inefficace qualsiasi correttivo parziale, come l’adeguamento dei punteggi o i tetti percentuali.
Nessun impatto sull’approvvigionamento europeo
Nonostante le preoccupazioni iniziali, l’indagine della Commissione ha dimostrato che l’UE dispone di fonti di approvvigionamento alternative sufficienti, grazie a produttori interni e a partner come Stati Uniti, Svizzera e Giappone. Il provvedimento non riguarderà le gare sotto i 5 milioni di euro (che rappresentano il 96% del numero complessivo), né quelle in cui non siano disponibili dispositivi equivalenti. Inoltre, resterà possibile offrire dispositivi cinesi fino al 50% del valore contrattuale, se importati da fornitori europei.
Un effetto leva anche sul lavoro e sulla sovranità sanitaria
Secondo stime della Commissione, la sostituzione anche parziale dei dispositivi cinesi con produzione interna potrebbe generare oltre 3.000 nuovi posti di lavoro e rafforzare la sovranità industriale europea in un settore strategico per la salute pubblica e l’economia. La misura mira quindi a proteggere l’autonomia sanitaria dell’Unione, a ridurre le dipendenze critiche e a incentivare un dialogo di reciprocità con Pechino.
Redazione