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Ricchezza degli italiani in crescita: ma si allarga la disuguaglianza

 
Ricchezza degli italiani in crescita: ma si allarga la disuguaglianza

Secondo Banca d’Italia e FABI, la ricchezza delle famiglie italiane è cresciuta nel 2023. Ma i dati rivelano un divario crescente: a beneficiarne sono solo i più ricchi

di Luca Lippi

Due recenti studi, uno di Banca d'Italia e uno della Fabi, confermano un aumento del patrimonio e della ricchezza finanziaria delle famiglie. Dietro a un dato apparentemente positivo, però, si nasconde una realtà allarmante: la crescita è concentrata nelle mani di chi era già ricco, allargando ulteriormente il divario nel Paese.

Pur convergendo sul tema, i due report offrono prospettive complementari e necessarie per comprendere appieno la situazione economica del Paese. Da una parte, la relazione annuale di Banca d'Italia ha analizzato il patrimonio delle famiglie nella sua interezza, includendo quindi anche il valore degli immobili. Dall'altra, lo studio della Fabi, il sindacato autonomo dei bancari, si è concentrato specificamente sulla ricchezza finanziaria. A una prima lettura, i risultati sembrano decisamente incoraggianti. Tuttavia, come spesso accade in economia, la vera notizia si nasconde dietro i numeri aggregati.

Patrimonio in crescita, ma solo per pochi

Partendo dai dati più significativi, la relazione annuale della Banca d'Italia certifica che a fine 2023 la ricchezza netta delle famiglie italiane è cresciuta, attestandosi a 10.700 miliardi di euro. Un dato di per sé notevole. Tuttavia, per interpretare correttamente una cifra di tale portata, è essenziale metterla in relazione con altri indicatori economici. In rapporto al reddito disponibile, ad esempio, il patrimonio degli italiani equivale a 8,3 volte, un multiplo rimasto sostanzialmente stabile rispetto al 2022. Particolarmente significativo è anche il confronto con il debito pubblico: la ricchezza privata lo supera di ben quattro volte, un rapporto anche in questo caso in linea con l'anno precedente. Questi dati, nel loro complesso, confermano la posizione dell'Italia tra i Paesi con il più alto patrimonio privato al mondo.

Tuttavia, non tutti i dati sono confortanti. Dietro le cifre aggregate si celano infatti delle crepe significative. La crescita dei redditi familiari, ad esempio, si è fermata a un modesto +2,7 per cento frenata dal calo dei redditi da lavoro autonomo e da proprietà. A questo si aggiunge un dato apparentemente positivo, ma in realtà ambiguo: la propensione media al risparmio è salita al 9 per cento (dall'8,2 per cento del 2022). Un aumento del risparmio non è sempre sintomo di benessere, e questo caso ne è la prova. Qui emerge l'altra faccia della medaglia. Sebbene la ricchezza complessiva sia aumentata, il numero di famiglie che la detengono è diminuito. La conclusione è inevitabile: la ricchezza si è concentrata ulteriormente nelle mani di chi era già ricco. Questo fenomeno spiega anche l'aumento della propensione al risparmio. Non sono più italiani a risparmiare, ma sono i più abbienti che, diventando ancora più ricchi, hanno aumentato la loro capacità di accantonare risorse, distorcendo la media nazionale. A questa dinamica si aggiunge una seconda motivazione, evidenziata da diversi analisti: il cosiddetto "risparmio precauzionale". Anche questa non è una buona notizia, perché suggerisce che gli italiani risparmiano di più non per fiducia, ma per paura e incertezza verso il futuro.

La fotografia della FABI sulla ricchezza finanziaria

Spostando il focus sulla sola ricchezza finanziaria, l'analisi della Fabi (Federazione Autonoma Bancari Italiani) offre un quadro altrettanto significativo. A fine 2023, il valore degli asset finanziari detenuti dalle famiglie italiane ha superato la soglia dei 5.258 miliardi di euro, un ammontare pari a più del doppio del nostro intero debito pubblico. È fondamentale, tuttavia, non interpretare questo dato come un segnale che il debito pubblico non sia un problema. Al contrario, sottovalutarne la gestione potrebbe compromettere la stabilità economica del Paese, intaccando la stessa ricchezza che oggi appare così solida.

Fondi comuni e titoli: i nuovi protagonisti

Ma come si compone questo enorme portafoglio e, soprattutto, quali asset hanno guidato la sua crescita? L'analisi rivela una dinamica a due velocità. Le componenti più tradizionali mostrano una crescita contenuta. La liquidità sui conti correnti è salita di un modesto +1 per cento (raggiungendo 1.293 miliardi), e un andamento simile si registra per le azioni (+0,9 per cento a 1.055 miliardi). Il vero motore della crescita è nel risparmio gestito e nei titoli a reddito fisso. Qui i numeri diventano ben più eclatanti. Le polizze assicurative segnano un +4,3 per cento (1.230 miliardi), ma il vero balzo arriva da titoli di Stato e obbligazioni, che hanno registrato un'impennata del +14,3 per cento (393 miliardi). La performance più impressionante è però quella dei fondi comuni di investimento, cresciuti addirittura del +17,6 per cento (950 miliardi). A questi si aggiungono altri strumenti finanziari minori, come i derivati, che completano il quadro. È evidente, quindi, come la crescita della ricchezza finanziaria sia stata trainata da una forte allocazione verso il risparmio amministrato e gestito, in un contesto di tassi di interesse tornati attrattivi.

La disuguaglianza nella narrazione mediatica

In conclusione, la narrazione mediatica che descrive la ricchezza degli italiani come un grande "salvadanaio" nazionale rischia di essere fuorviante. Sebbene il termine possa richiamare l'idea di un risparmio prudente e diffuso, la realtà descritta dai dati è molto diversa. Il salvadanaio evoca l'immagine di piccoli accantonamenti messi da parte da molti. In Italia, invece, assistiamo a un fenomeno opposto: l'aumento di enormi patrimoni concentrati nelle mani di pochi. Questa crescente disuguaglianza non è una dinamica da celebrare, ma un segnale di allarme per la coesione sociale e la salute a lungo termine dell'economia. Non si tratta di un "tesoretto" a disposizione del Paese, ma di una frattura che si allarga, e questa non può essere considerata una buona notizia.