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Consultori, un’esperienza da rilanciare

 
Consultori, un’esperienza da rilanciare
Ivan Iacob

C’erano una volta i consultori. Nacquero negli anni Settanta, in un’Italia che stava cambiando pelle. Erano tempi in cui si cominciava a parlare apertamente di sessualità, maternità, educazione affettiva. Temi che prima erano lasciati al silenzio delle case o, peggio, al caso. Nascevano allora luoghi nuovi: pubblici, accessibili, gratuiti. Luoghi in cui si poteva chiedere aiuto senza vergogna, senza etichette. Luoghi per le donne, per i giovani, per le famiglie. Luoghi per tutti. Quei luoghi si chiamavano – e si chiamano ancora – consultori.

Ma oggi, dopo più di cinquant’anni, quei luoghi non sono più così riconoscibili. In alcune regioni il nome è stato cancellato o cambiato. In altre, sono stati svuotati, ridotti a semplici sportelli amministrativi. Eppure, la legge li prevede, lo Stato li riconosce, la società ne avrebbe più bisogno che mai. All’origine dei consultori c’era un’idea semplice ma rivoluzionaria: la salute non è solo assenza di malattia, ma anche consapevolezza, sostegno, prevenzione.

Così, per la prima volta, si parlava apertamente di sessualità, di contraccezione, di gravidanza, di relazioni, di emozioni. Si parlava anche di maternità, ma non in modo idealizzato: si accompagnavano le donne e le coppie nel percorso reale, faticoso e bellissimo, della genitorialità. E si faceva educazione, parola chiave che ancora oggi, purtroppo, fa paura. Col tempo, però, il consultorio è diventato terreno di scontro politico, un campo in cui ideologie e agende si sono spesso scontrate, dimenticando la cosa più importante: le persone.

Da destra a sinistra, ciascuno ha cercato di piegarli a visioni ideologiche. E così, quel luogo nato per aiutare è diventato, in alcune realtà, un contenitore pieno di tutto tranne che di cura. Viviamo in un tempo strano. Un tempo in cui si può sapere tutto con un clic, ma in cui è sempre più difficile sentirsi ascoltati, capiti, accompagnati. Un tempo in cui i giovani crescono tra mille informazioni, ma poca relazione, e in cui le famiglie, spesso, sono lasciate sole nei passaggi più delicati della vita.

È proprio in questo contesto che i consultori familiari potrebbero – dovrebbero – tornare a essere un presidio fondamentale di salute pubblica e vicinanza umana. Nei primi mille giorni di vita di un bambino, quando tutto si costruisce e tutto può vacillare, il consultorio è il luogo dove ostetriche, psicologi, ginecologi lavorano insieme per accogliere, rassicurare, orientare. Per gli adolescenti, il consultorio è (o dovrebbe essere) uno spazio sicuro dove parlare senza vergogna di corpo, affetti, desideri, confusione. Dove si può entrare senza sentirsi giudicati, e magari uscire con una consapevolezza in più. È anche uno spazio per chi sta vivendo un momento difficile, un lutto, una separazione, una crisi di coppia. Dove la parola “cura” non significa diagnosi, ma presenza, ascolto, orientamento.

Purtroppo, sempre più spesso, i consultori vengono usati per scopi che non gli appartengono: valutazioni richieste dai tribunali, obblighi giudiziari, compiti burocratici che rallentano il lavoro reale degli operatori e snaturano il senso del servizio. Così facendo, si perde tempo, si spreca energia, si rischia di fare danni. Perché la cura non può essere imposta. E perché la salute mentale, l’affettività, la crescita richiedono contesti liberi, umani, accoglienti. Il consultorio non è (e non sarà mai) un piccolo ospedale. Non si danno farmaci, non si fanno diagnosi complesse, non si gestiscono cronicità. Il suo compito è un altro: intercettare prima che esploda, sostenere prima che si spezzi, educare prima che si confonda.

Oggi, con una società che invecchia e si svuota di nuove nascite, con una piramide demografica rovesciata, proteggere la genitorialità, l’infanzia, la crescita consapevole è un dovere collettivo. E i consultori familiari sono una risposta concreta, vicina, pubblica. Per questo è importante liberarli da ciò che li appesantisce, riconsegnare loro il tempo e le risorse per fare ciò per cui sono nati: esserci, prima che sia troppo tardi.

Ivan Iacob è Segretario Generale Aupi (Associazione unitaria psicologi italiani)