Uno studio dell’MIT indaga gli effetti cognitivi dell’uso dell’intelligenza artificiale generativa: meno attività cerebrale, memoria ridotta e testi poco originali.
In breve tempo, strumenti come ChatGPT sono diventati parte della vita quotidiana di decine di milioni di utenti di Internet. Ma ora uno studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT) suggerisce che l’uso dell’intelligenza artificiale generativa potrebbe rendere il nostro cervello meno attivo e avere conseguenze cognitive inaspettate.
Sebbene la maggior parte delle persone apprezzi i guadagni di produttività offerti dai chatbot come ChatGPT, molti affermano di aver sviluppato una certa pigrizia intellettuale.
Nataliya Kosmyna, ricercatrice del gruppo Fluid Interfaces presso MIT Media Lab e autrice dello studio, da circa quindici anni sviluppa interfacce cervello-macchina. Nel suo laboratorio ha osservato un comportamento ricorrente: molti studenti copiano e incollano da ChatGPT “senza fare domande”, aggiungendo che “alcuni suoi colleghi le hanno detto che ricordano sempre meno cose da quando hanno iniziato a usare ChatGPT”.
Nell’ambito dell’esperimento, a 54 partecipanti di età compresa tra i 18 e i 39 anni è stato chiesto di scrivere tre testi su un argomento generale, ad esempio rispondere alla domanda: le opere d’arte possono cambiare la vita delle persone?
I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: il primo ha dovuto scrivere i saggi senza alcun supporto tecnologico, il secondo ha potuto usare Google (senza l’interfaccia AI), il terzo aveva accesso a ChatGPT.
Attraverso l’uso dell’elettroencefalogramma (EEG), i ricercatori hanno registrato l’attività cerebrale per valutare l’impegno cognitivo dei partecipanti e analizzare quali aree del cervello venivano attivate e con quale frequenza. L’esperimento ha dimostrato che l’attività cerebrale delle persone che hanno utilizzato l’intelligenza artificiale era significativamente inferiore rispetto agli altri due gruppi. Inoltre, l’83% dei partecipanti che ha scritto con ChatGPT non ricordava alcun passaggio del testo, nemmeno pochi minuti dopo averlo completato.
L’utilizzo di Google ha stimolato un maggiore impegno cerebrale, ma i risultati migliori sono stati ottenuti da coloro che hanno scritto senza strumenti: questi partecipanti presentavano la più alta connettività neurale, in particolare nelle aree parietale sinistra, temporale destra e frontale anteriore, associate all’integrazione semantica, alla creatività e all’autoregolazione.
A un gruppo di 18 partecipanti è stato poi chiesto di riscrivere uno dei saggi utilizzando una modalità di scrittura opposta rispetto alla prima: chi aveva usato ChatGPT doveva ora scrivere senza tecnologia, e viceversa. Anche in questo caso, coloro che avevano utilizzato inizialmente l’AI mostravano ancora una ridotta attività neurale, come se il cervello si fosse abituato alla delega cognitiva.
L’esperimento ha anche mostrato che i testi prodotti con ChatGPT erano ripetitivi, poco originali e simili tra loro, utilizzando le stesse frasi e concetti. “Questo era abbastanza ovvio”, ha affermato Kosmyna.
La ricercatrice invita comunque alla cautela: “Il mio studio non dimostra che l’intelligenza artificiale renda le persone più stupide o faccia marcire il loro cervello”. Il lavoro, infatti, non è stato ancora sottoposto a revisione paritaria, e sono necessarie ulteriori indagini. Kosmyna suggerisce di utilizzare anche strumenti di neuroimaging come la risonanza magnetica (RM) per studiare eventuali cambiamenti strutturali nel cervello.
Autrice anche del progetto Emotiv, un casco per controllare dispositivi attraverso gli impulsi elettrici cerebrali, Kosmyna è tra le ricercatrici in prima linea nel comprendere come le nuove tecnologie influenzano le funzioni cognitive umane.
Redazione